Recensioni certe cose determinate

Pamello’s Moleskine (pamello.blogspot.com)

Certe cose determinate nascono quando si viaggia lungo autostrade math rock senza il timore di avventurarsi in svolte improvvise, inversioni a U, retromarce; e senza deviare troppo dalla rotta prefissa. Certe cose determinate nascono quando 4/5 dei Malajerba (Massimo Carere, Enzo Colarco, Michele Alessi e Filippo Andreacchio) decidono di formare i Captain Quentin (a loro si aggiungerà in seguito Libero Rodofili). E Certe Cose determinate (thx Rockit) non poteva che essere l’album di debutto per la band taurianovese, pubblicato sotto etichetta Lo Zio Records: otto percorsi strumentali che esplorano ogni più piccolo particolare del paesaggio musicale circostante (“Le occasioni Son Macchine”); dove campanellini e trombe fungono da segnali stradali che ci permettono di orientarci (“Dilliman”); e dove, soprattutto, l’importante non è arrivare, ma percorrere. (7.0)

Pamello


SentireAscoltare (www.sentireascoltare.com)

Captain Quentin, ex Malajerba, esistono da ottobre 2005. Il nome è una crasi tra Captain Beefheart e Quentin Compson, personaggio de L’urlo e il furore di Faulkner. La loro musica si presenta come un tentativo di farmi cambiare idea circa l’esaurimento – storico/estetico – del post-rock. Ovviamente non ci riescono, però alla fine vincono la scommessa, evitano la tipica irregimentazione da figliastri di June Of’44-Tortoise-Slint per imbastire trame math spasmodiche, duttili, in perenne e progressivo frastagliamento. Tanto da costeggiare un’acidità delirante e arcigna (Le occasioni son macchine rotte, con echi fuzzati dei primi Floyd e dei Van Der Graf Generator), rutilanti trasfigurazioni blues-rock (la fragrante e lunare La bottiglia viola, simile a certi Bron Y Aur) e trepide ostinazioni soul-funk (tra lo starnazzare del sax e la chitarra frastagliata di Dilliman). Disarticolazioni ad elastico, tastiere spacey che rimagliano i fraseggi chiostrati delle chitarre, tamburi a sprimacciare le ritmiche convulse. Un’apparecchiatura che non lascia riferimenti e ti prepara ai piatti più sorprendenti, così che l’alternarsi tra cavalcata kraut e torvo funk-blues di Discopost Inc può sfociare in una psych robotica (immaginate i RUNI che grattano la pancia al Brian Eno più cupo), proponendosi come la portata più gustosa. Senza scordare il valzer sdrucciolevole e adrenalinico di Rullante per un vicino, ispirato a certi menù cinematici e febbrili Jim O’Rourke. Intensi, sfrenati e furiosi, tanto per non tradire il nome. Bravi.(7.1/10)

Stefano Solventi


Nerd’s Attack (http://www.musicaroma.it/nerds)

Matematica applicata. I quattro moschettieri calabresi di Taurianova (già rodati dall’esperienza Malajerba) prendono un paio di enormi forbici e tagliano il nastro del debutto sulla neonata etichetta Lo Zio Records. E’ struttura strumentale quella che confluisce sicura nel sangue di otto piccole opere registrate ai Red House Recording Studio. Meno di quaranta minuti di apparente complessità “matHematica” che riporta alla mente l’avanguardia noise dgli U.S. Maple che avevano nel cuore e nelle vene la lezione incancellabile del guru Captain Beefheart. Il tutto torna musicale che colpisce (anche nell’idea del moniker) i Captain Quentin (dove “Quentin” riporta alla ribalta il Nobel americano William Faulkner ed il suo decadente e barocco “L’urlo E Il Furore”). “Certe Cose Determinate” non è un punto d’arrivo. Ma solo uno snodo momentaneo per verificare ambizioni e prospettive. Che ascoltando brani come “Dilliman” e “Rullante Per Un Vicino” sembrano volgere verso la parte più brillante della luna. Acerbo ma con talento.

Emanuele Tamagnini


LosingToday (www.losingtoday.com)

In appena un anno di attività (ma facendo tesoro della decennale esperienza dei Malajerba, dalle cui ceneri sono nati nel 2005), i Captain Quentin hanno bruciato le tappe, suonando in supporto a band come Confuse The Cat e Mashrooms e dando vita al loro esordio discografico (in quel dei Red House Recordings Studio di Senigallia). La volontà del quartetto di Taurianova (provincia di Reggio Calabria: ‘c’è vita su Marte’, verrebbe da dire, con tutto il rispetto per la ‘regione dei due mari’), di animare una creatura ‘ibrida’ è evidente fin dal nome, nel quale si incontrano il ‘capitano’ più famoso della storia del rock (Beefheart, ovviamente) e uno dei personaggi più tragici (e controversi) della storia della letteratura, quel Quentin Compson protagonista de “L’urlo e il furore” di Faulkner. Esaurite le questioni anagrafico / onomastiche, è forse il caso di passare al nocciolo della questione, ossia a cosa “Certe Cose Determinate” contenga: in sintesi, otto tracce interamente strumentali dalla varia natura, legati da un’attitudine per le ritmiche sghembe, frastagliate, per i cambi di direzione. Il retaggio di Beefheart è proprio questa obliquità, questo gusto per le sincopi e per il continuo ‘stop & go’ costruito dalle due chitarre elettriche (una delle quali baritonale), all’insegna di un nervosismo cui contribuiscono sprazzi di sax, che dà al disco un che di imprevedibile anche nei frangenti più regolari (affidati magari ai toni addolciti delle tastiere), anche se più che di ‘discendenza diretta’ è esatto parlare di un’ombra che aleggia su tutto il disco. Quentin Compson entra invece nel discorso allorché si parla di emozioni e umori: l’alternanza di mutismi e improvvisi scoppi di dolore del personaggio di Faulkner è ricalcata dal quartetto attraverso un alternarsi di momenti aggressivi, frenetici, divisi tra noise e math rock e spazi più meditati,nei quali la ruvidità di base viene messa al servizio di una sensibilità tipicamente ‘indie’. Corde, tasti e pelli costruiscono così un panorama sonoro instabile, come una barca lanciata su un mare in tempesta; ma la rotta è tracciata, il timone saldo e l’equipaggio esperto.

Marcello Berlich


Rockit (www.rockit.it)

Captain Quentin naviga in un mare di suoni poco battuti. In presa diretta parte dalla danza fluttuante de “La bottiglia viola”, dove scratch di chitarra tessono riff sinuosi, per approdare a “Certe cose determinate” in cui momenti rallentati vengono interrotti da treni decisi di note ad alta velocità. E si va avanti con altre tracce dal forte impatto epidermico (vedi “Rullante per un vicino”). Batteria straripante, chitarre affilate, le stravaganze di sinth e tastiere, le distorsioni di basso e sax. Cigolii di strumenti spremuti, martellati, che cercano di aggrapparsi ad una melodia. Tutto si interseca e un pezzo non è mai lineare ma scomposto e scomponibile, dilatabile, che si apre a mondi sconfinati e sorride armonicamente per poi snaturarsi di nuovo, rinchiudersi e agitarsi. Movimenti imprevedibili, mutazioni improvvise di tempi. Vibrazioni. Rumori. Dissonanze sparse qua e là. E quando l’abitudine prende il sopravvento si cambia direzione. Marce esuberanti e inattese frenate. Pulsazioni forsennate. Come sirene che suonano impazzite. Ritmi frantumati e ossessivi, armonie spigolose. Una linea melodica in qualche modo riesce a mettere ordine per poi venire spezzata nuovamente dai capitani ingarbugliati. Da notare la ricercatezza nei titoli dei pezzi. Post-rock-matematico strumentale se un genere bisogna individuare. E il nome è tutto un programma. Captain, come la follia di Captain Beefheart e Quentin Compson, decadente personaggio de “L’urlo e il furore” di William Faulkner. Cinque calabresi da Taurianova con lo sguardo rivolto a Lousville o Chicago, a etichette come Skin Graft e Touch and go. Memorie di Don Caballero, June of 44, Slint. Complessi ed affascinanti. (11-04-2007) Maria Murone

Marcello Berlich


Il Cibicida (www.ilcibicida.com)

Quello che fanno i Captain Quentin da Taurianova (RC) con il loro esordio Certe Cose Determinate (Lo Zio Records) è scandagliare, scavare a fondo, con invidiabile stacanovismo, per trovare nuove soluzioni strumentali. La band calabrese prende il rock in mano e lo strizza finchè riesce ad ottenere anche l’ultima goccia dal suo contenuto: otto lunghi episodi chitarristici, batteria che va e viene, cambi di passo vertiginosi ed anche episodi di rumorosissimo noise-rock (Le occasioni son macchine rotte). Non c’è la voce, ma c’è il gusto per la sperimentazione e per la ricerca, d’altronde il loro nome prende forma dall’accostamento tra le follie musicali di Captain Beefheart e la personalità di Quentin Compson, personaggio protagonista de “L’urlo e il furore” dello scrittore statunitense William Faulkner, uno dei maggiori rappresentanti del minimalismo letterario americano. Così, ai voli progressive fatti di mix (altamente alcolici) di sax, basso, batteria e chitarre sfilacciate (prendete Beefheart, prendete Zappa) si alternano momenti di maggiore calma e crudezza formale. I cinque Quentin: Carere (percissioni), Colarco (tastiere), Alessi (chitarra baritonale), Andreacchio (chitarre) e Rodofili (sax) salgono sulla giostra della sperimentazione pura, scendendovi solo quando le polveri sono state abbondantemente infuocate. Un disco agrodolce e, a tratti, spiazzante. C’è in Italia il senso dell’avanguard? Evidentemente sì.

Riccardo Marra


Kathodik (www.kathodik.it)

I Captain Quentin, progetto originale sorto nel ’05, sono una specie di reincarnazione dei disciolti Malajerba, realtà musicale che ha varcato i dieci anni di solida attività. Lasso temporale utile e necessario a Michele Alessi (chitarra elettrica baritonale), Filippo Andreacchio (chitarra elettrica ‘pura’), Enzo Colarco (tasti), Massimo Carere (piatti e tamburi) e Libero Rodofili (addentratosi successivamente con sax e basso) per formulare e perfezionare sonorità delineate da un interesse ‘maniacale’ per il post rock Slint-iano – senza scordare June of 44 e Tortoise – e per le sfaccettate contorsioni (o contaminazioni) che tale forma ben si appresta ad eseguire. Mood irregolare, quindi, che si lascia adocchiare a partire dalla alchimia, tutta personale, che i componenti mettono in atto per scegliere il nome, un marchio d’identità deciso, da porgere alla band; una commistione di molecole che tira in ballo il genio erotico e sregolato di Captain Beefheart con la penna decadente dello scrittore William Faulkner, nel suo romanzo Quentin Compson. Ed ecco, dunque, svelarsi alle orecchie l’arcano segreto di un simile bilanciamento, che trova il suo punto-forza nella scelta di sperimentare trame unicamente strumentali, dilatate nella lunghezza e frastagliate nel modo d’interloquire con l’esterno. Struttura in ascesa, sia in senso di emozioni, quanto in merito a durezza del suono, che apre le danze spalancando spensierate virtù armoniche e post-rock (La Bottiglia Viola). Paesaggi cristallini architettati con gentili fraseggi di chitarra reiterata, rotolano nelle mani di improvvisi deragliamenti improv-rock (la languida disinvoltura della title track e la spavalda stravaganza indie e para-lounge di Rullante per un Vicino). Lo spazio è saturo di relax, piacere auditivo che s’impone anche a colpi di sofisticato, quanto elegante, math rock o di altri linguaggi cosiddetti estremi: come nel caso di Discopost Inc. e nell’incastro minimal ipnotico di percussioni e chitarra, avviluppato con maestria al termine. Lo spettro del vecchio capitano blues si lascia toccare nell’andamento acidulo (ma anche molto sognante) di Le Occasioni son Macchine Rotte e nei stop ‘n’ go free jazz di My Untitled Umbrella. Non c’è che dire, la formula adottata da questo combo gli consente di sondare terreni, alle volte già sciupati da una miriade di gruppi dell’intero pianeta, senza inciampare mai nella categoria del già sentito e nel monotono intarsio di, oramai, classico stampo post-rock. (3,5/5)

Sergio Eletto