Mi sono trovato a recensire We’re Turning Again dei Captain Quentin, uscito lo scorso maggio per From Scratch Records e Overdrive Records, con un certo timore per il fatto che non mi capita spesso di ascoltare musica esclusivamente strumentale. Tuttavia avvicinarmi a quest’album mi ha fatto sentire in qualche modo a casa, come se stessi ascoltando qualcosa di completamente familiare. Penso sia questo il punto di forza del disco: la capacità di scorrere leggero leggero e di farti dire, alla fine dell’ascolto, “ma come! Già finito?”.
Ascoltando i Captain Quentin continua a venirmi in mente una sola parola: alchimia. La Treccani su questo dice:
“Alchimia è un accostamento insolito di elementi, che porta a un risultato, a un effetto originale e raffinato.”
We’re turning again è proprio questo: un disco insolito nel panorama italiano proprio perché originale e, nel giusto contesto, raffinato.
Non parlo di una raffinatezza a la Duke Ellington, no di certo, ma del fatto che spesso quando degli artisti virtuosi si uniscono tendono a sconfinare nella tecnica fine a se stessa, a discapito della musicalità. Qui invece la tecnica è al servizio della musica senza mai diventare una mera esibizione di bravura che, sebbene possa sembrare affascinante, risulterebbe incredibilmente noiosa.
I Captain Quentin mischiano abilmente influenze più funky, che ricordano un pò le basi dei primissimi Incubus o di alcune tracce dei Mr. Bungle, come nella traccia d’apertura Dieci Minuti Lunghi Trenta, a delle chitarre che sembrano venire direttamente dal primo disco dei Two Doors Cinema Club, come in Caffè Connection. Ma non è finita qui, perché i Captain Quentin riescono a condire il tutto anche con tastiere che profumano di prog come in Avevo un Cuore che Ti Amava Franco. Non fatevi tradire dalle influenze che ho appena citato, We’re Turning Again non è un assemblaggio di stili diversi ma un impasto omogeneo di tecnica e cultura musicale.
Questo lavoro trasmette tutta la passione, il rispetto e la dedizione di una band nei confronti della musica e mi fa venire proprio voglia non solo di partecipare ad un loro concerto, ma di assisterli in sala prove mentre sfogano tutta la loro creatività sugli strumenti.
Complimenti ai Captain Quentin!
Paolo Cunico